martedì 29 dicembre 2020

Il Metodo.


PANETTONE E GRANDI LIEVITATI 

 Un' esperienza personale. 

 PRIMA PUNTATA: GESTIONE DEL LIEVITO.

Quella che espongo è la mia esperienza personale di laboratorio, volta ad ottenere un prodotto perfetto senza rubare tempo ed energia a famiglia e tempo libero. Nell'arco della mia carriera ho approfondito diversi metodi di lavoro:  lievito legato, gestione libera, gestione in acqua per approdare al presente con una gestione libera ad alta idratazione. Che cosa intendo: il lievito viene conservato in un recipiente, e invece di procedere coi rinfreschi canonici al 40-50% di idratazione, arrivo fino all'80% ottenendo così una crema che si rinfresca con un cucchiaio, non crea sprechi dovuti a croste e parti esterne e soprattutto permette di non impegnare tempo prezioso. Ha anche un nome, lo conoscete tutti, che a mio parere serve a perdere di vista il punto fondamentale: stiamo parlando dello stesso prodotto, di un microbiota composto da lieviti e batteri, che gestito di volta in volta con la giusta metodica ci porta al risultato prefissato. Per cui: se un lievito legato nel sacco avrà bisogno di una gestione che stimoli l'acidità lattica, per bilanciare quella acetica propria della gestione, dovremo curare la giusta idratazione e le giuste temperature; un lievito in acqua sarà invece per natura più dolce, in quanto l' ambiente di conservazione stimola da una parte l'acidità lattica e dall'altra ne disperde l'eccesso, quindi procederemo con idratazioni ridotte e temperature più controllate. In linea di massima possiamo considerare: la bassa idratazione e le basse temperature (22°-24°) stimolano l'acidità acetica, viceversa le alte idratazioni e le alte temperature quella lattica (intorno ai 28°). Va da sé che il lievito ad alta idratazione sia per natura tendente al lattico, per questa ragione ho scelto di bilanciarlo gestendolo a +2° quando è a riposo e a temperatura ambiente (20°-22°) quando entra in produzione. 

 

Vediamo come opero.

  Il lievito, come tutti gli organismi, si adatta alle condizioni che gli creiamo, perciò non dobbiamo rifarci a dogmi o a consuetudini ma fare in modo che entri nel ciclo produttivo, esattamente come tutti gli altri ingredienti. Come ho già detto lo conservo in frigo a una temperatura costante di 2°C e lo rinfresco una volta ogni 7 giorni, creando un ambiente ove i microorganismi rallentano la vitalità, adattando il proprio metabolismo alla bassa temperatura. Essendo il martedì il mio giorno di riposo, la settimana procede così:

 MERCOLEDÌ ORE 7: prendo il lievito dal frigo, lo peso e aggiungo lo stesso peso di farina con l'80% di acqua a temperatura ambiente. Mescolo bene con un cucchiaio e suddivido il lievito in due parti: una torna in frigo fino al mercoledì successivo, l'altra resta in ambiente per una dato tempo per poi andare in produzione. 

Tempo impiegato: 5 minuti. Spreco di prodotto: zero. 

 Uso una farina di media forza, non devo incordare o badare a volumi, devo solo dare nutrimento al lievito. Solitamente uso acqua di rete a 35°  ma se noto che i trattamenti di sanificazione dell'acqua di rete, soprattutto appena fatti, influiscono sulla vitalit°  del lievito, uso un acqua in bottiglia.

 La parte che torna in conservazione, ci torna dopo 8 ore ore di stazionamento in ambiente, abbastanza per farla stabilizzare e ci resterà per una settimana; la parte che resta in ambiente, se non è periodo di grandi lievitati, dopo 8 ore in ambiente viene aggiunta ad impasti lievitati, quali: cornetti, pizza, babà ecc. in lievitazione mista assieme al lievito di birra, e agisce da miglioratore sul sapore e sulla fragranza del prodotto finito. 

 Se invece è periodo di grandi lievitati, o si hanno in linea prodotti a lievitazione naturale, dopo le 8 ore una parte va come sopra in aggiunta ai prodotti e un' altra, quella necessaria, resta in ambiente fino alle 7 del giorno dopo. 

GIOVEDÌ ORE 7: RINFRESCO 1:2:1,6 e ambiente per 24 ore.

VENERDÌ ORE 7: procedo con il rinfresco 1:1:0,8, e dopo 8 ore avrò il lievito pronto per procedere con il primo impasto del prodotto desiderato, che sarà pronto mediamente dopo 12-13 ore se mantenuto a  temperatura ambiente di 22°, comunque fino al raggiungimento di tre volte e mezzo il  volume iniziale. 

SABATO ORE 5: procedo col secondo impasto secondo abitudine, per andare poi in cottura in tarda mattinata. 

 A questo punto  la produzione è finita e il nostro lievito è a riposo in frigorifero, se invece si ha l'esigenza di produzioni più intense, si avrà premura di destinare una parte del rinfresco del venerdì ad una nuova produzione ripetendo tutte le fasi nei giorni a seguire. 

Come si può notare, tutto si svolge in orario diurno e di laboratorio e la produzione si integra con il resto senza disagi, ciò non toglie che con altri cicli produttivi, avendo cura di avere abbastanza lievito, dal pomeriggio del venerdì è possibile gestire una produzione ogni 8 ore, destinando una parte di lievito al pre-impasto e una al rinfresco. 

Perché 8 ore? Perché è il lasso di tempo necessario, a temperatura ambiente costante di 20°-22°, per avere il lievito alla massima attività, ovvero la crescita è in piena fase logaritmica e se preso in questo momento, come a rilasciare un elastico riprende in piena forma la fase successiva. Preso in anticipo, avremo senz'altro un lievito instabile, capace di fare molto bene o male a seconda della fase di crescita in cui si trova; preso più tardi, perde gradualmente forza passando prima a una fase stazionaria e poi di decrescita man mano che i microorganismi finiscono il nutrimento. 

Come si sarà notato, nella gestione del lievito non seguo alcun parametro volumetrico, ragione per cui non mi serve incordarlo, proprio perché non mi occorre una maglia glutinica che mi contenga i gas e mi evidenzi il volume. Faccio invece attenzione al volume per il termine del primo impasto, infatti questo è sì un impasto ben incordato, ed essendo ricco di ingredienti che influiscono sui tempi della lievitazione, l'apice della fase logaritmica la troviamo a tre volte e mezzo il volume iniziale; preso prima, esattamente come scritto sopra, abbiamo instabilità; preso dopo abbiamo ancora ottimi risultati, decrescenti e instabili man mano che il volume aumenta: si ottengono ancora ottimi prodotti, ma si può perdere un po' di costanza. Mi spiego: se lo prendiamo a quattro cinque volte il suo volume, potrebbe essere in fase stazionaria, con un buon numero di microorganismi, ma anche in fase decrescente, ovvero questi cominciano a morire in numero superiore a quelli che si riproducono, con la conseguenza che i tempi dell'ultima lievitazione si dilatano. 

Gli impasti veri e propri li gestisco ad una temperatura in uscita di 24-26° massimo, buon range per avere un lievito vitale e non sbilanciato. Per ottenerla si può sfruttare una semplice formula matematica: T finale X 2 – T ambiente ( esempio: 26x2-20= 32 è la temperatura dell'acqua che metteremo nell'impasto, che può abbassarsi se abbiamo macchine che scaldano molto).

 La lievitazione finale avviene a 26-28° con il 75% di umidità, mediamente è pronto in 3 ore. Gestire ogni fase con cognizione di causa, ci permette di rispettare le tempistiche prefissate e non essere costretti a prolungare il tempo passato in laboratorio, sinonimo di benessere psico fisico che va a sua volta a beneficio della produzione in generale. 

Ci tengo a precisare che questo non è il METODO universale, ma la mia metodologia personale che non necessariamente deve e può calzare a tutti;  discorso che vale per ogni approcio, e proprio per questo sarebbe buona norma, prima di cimentarsi in questo ed altri settori, studiare la teoria di base per essere liberi di applicarsi senza condizionamenti e pregiudizi. 

Terminiamo qui la prima parte, nella seconda vedremo l'impasto. Ciao.



Nessun commento:

Posta un commento